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Grecia Salentina: Rito Religioso
La Grecìa Salentina Origini e Storia Rito Religioso La Lingua Grika
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RITO RELIGIOSO

Comunemente si crede che il rito religioso greco fu introdotto in Puglia nel VI sec. d.C., da Giustiniano.
Ma il periodo di massimo splendore si ebbe certamente con la venuta nell’Occidente bizantino dei monaci seguaci di San Basilio, vescovo di Cesarea e Cappadocia.
I Basiliani scavarono grotte ipogee dette “laure” (come quelle presenti nella marina di Roca in provincia di Lecce), adibendo la più ampia a chiesetta, mentre le altre più anguste e modeste a miseri rifugi dove vivevano contemplando l’aldilà, mortificando la carne, scavando granili, depositi per le derrate alimentari, trappeti ipogei, incrementando la coltivazione dell’olivo e della vite.
Costruirono suggestive chiese rupestri (come quella di Mottola), piccole cattedrali, cenobi, e una miriade di cripte nel cui interno vi era l’iconostasi, ed una moltitudine di affreschi e icone, che ancora oggi confondono il visitatore, proiettandolo in un mondo irreale di Santi e anacoreti.
Tra le innumerevoli cripte bizantine presenti nel Salento (oltre quelle della Grecia Salentina), citiamo quella di Santo Stefano a Poggiardo, delle SS. Cristina e Marina a Carpignano Salentino e quella del Crocefisso a Ugento.
Luoghi santi in cui i fedeli si raccoglievano devotamente intorno alla figura del papàs (spesso sposato e con prole), che officiava la funzione religiosa secondo il rito greco.
Un notevole impulso religioso di rito greco si ebbe in modo particolare in Puglia, in Calabria e in Basilicata, in seguito all’avvento degli Arabi in Sicilia e alle lotte iconoclaste in oriente (VIII-IX sec. d.C.).
Queste ultime, oltre ad essere state una delle principali cause della divisione tra la Chiesa greca e quella latina, scatenarono una guerra di religione fratricida, in cui gli “iconoclasti” (distruttori delle immagini sacre) costrinsero gli “iconoduli” (difensori delle immagini sacre) a cercare scampo in terre più ospitali.
All’iconoclastia promulgata nel 725 da Leone III l’Isaurico (che pose sotto il potere del Patriarca di Costantinopoli le provincie bizantine d’Italia), si oppose Papa Gregorio II, il quale convocò un concilio in cui vennero dichiarati eretici gli iconoclasti.
Un rifiuto all’iconoclastia venne anche dall’Imperatrice Irene (reggente per conto del figlio Costantino VI) che nel 787 convocò il Concilio di Nicea; e da Teodora (vedova dell’Imperatore Teofilo) che ripristinò definitivamente il culto delle immagini sacre nell’ 843.
Ma ormai lo scontro con la Chiesa papista era avviato.
Lo scisma di Fozio (863) e quello di Michele Cerulario (1054) sancirono la rottura definitiva tra le chiese cristiane latina e greca, che si scomunicarono a vicenda.
 
Anche nell’Italia bizantina lo scisma d’Oriente ebbe notevoli conseguenze: nel 968 l’Imperatore Niceforo Foca intimò a tutti i vescovi di rito greco di Puglia e Calabria di attenersi esclusivamente al rito greco, mentre il Papa Gregorio VIII proibì al clero greco di celebrare nelle chiese latine.
Otranto sede di vescovo greco (che aveva sempre goduto della protezione del Patriarca di Costantinopoli) divenne il centro metropolitano più rinomato di Puglia e Basilicata.
Ad un breve periodo di relativa quiete avuto in età tardo medioevale, (in cui nella stessa chiesa celebravano alternativamente religiosi latini e greci), fecero seguito nuovi dissapori durante l’epoca dei Normanni, favorevoli alla Chiesa di Roma.
Ma fu con il regno degli Angioini che l’intolleranza divenne più netta; infatti in questo periodo molti luoghi di culto greco vennero incendiati, saccheggiati e profanati.
Nel 1453 cadeva in mano islamica la città di Costantinopoli, i cui superstiti rifugiatosi nella cattedrale di S. Sofia (poi trasformata in moschea) vennero in gran parte barbaramente trucidati o fatti schiavi.
La caduta di Costantinopoli gettò lo sgomento più profondo in tutto il mondo cristiano, isolando nel contempo i Greci di Puglia dalla madre patria ormai agonizzante.
Il Concilio di Trento (1545-1563) accentuò il divario tra la chiesa cattolica romana e le altre chiese cristiane.
Tuttavia, successivamente al concilio, si ha notizia di un sinodo a cui parteciparono circa 200 sacerdoti greco-salentinì.
Un altro contributo alla politica della Chiesa di Roma, che aveva costituito il “Collegium Graecorum “, venne dato dai Greco salentini, ed in particolare dal protopapàs (capo amministrativo della “Chora” bizantina) di Soleto, Antonio Arcudi.
Uno dei centri di cultura greca presenti in Puglia, fu la celebre Abbazia di S. Nicolò di Casole (di cui restano oggi pochi ruderi), costruita nel 900 dai monaci iconoduli che divenne in poco tempo un rinomato cenobio basiliano, in cui i pazienti amanuensi chini sullo scriptorium, sotto la guida di un igumeno e di un protocalligrafo, riproducevano antichi e preziosi manoscritti latini e greci.
L’importanza del cenobio basiliano decadde per una serie di concause negative, tra cui l’azione predatoria del cardinale Bessarione, che depauperò gran parte del patrimonio libraio disperdendolo per vie occulte, e del quale oggi restano solo alcune centinaia di copie sparse tra la Biblioteca vaticana, l’archivio di Stato di Venezia, la biblioteca Laurenziana di Firenze, l’Università di Parigi e le biblioteche Nazionali di Madrid e di Bristol.
Sempre ad Otranto, è presente ancora oggi la chiesa di S. Pietro (sec. X e XI) un tempo cattedrale, che conservò il rito greco anche dopo l’avvento dei Normanni; nel suo interno è ancora possibile ammirare alcuni affreschi bizantini che raffigurano la vita di Cristo e scene del Vecchio Testamento.
Un altro cospicuo centro di cultura greca nel Salento vi era a Nardò, dove esisteva un importante gimnasium nel quale venivano scritti i testi sacri, usati poi da tutto il clero secolare e regolare greco del Salento, in particolare nelle diocesi di Otranto, Nardò, Gallipoli e Castro.
Il famoso umanista salentino Antonio De Ferraris (detto il “Galateo” 1444-15 17) afferma che ai suoi tempi, nella sola diocesi di Nardò vi erano 14 paesi grecofoni, mentre nel 1373 erano addirittura trenta.
Dalla visita apostolica dell’Arcivescovo di Otranto Lucio De Morra (1606-1623), il rito greco risultava ancora presente in tredici paesi, con un totale di ottanta sacerdoti ordinati col rito “more graecorum”.

In particolare risultavano presenti: a Corigliano otto sacerdoti, l’ultimo dei quali fu Antonio Indrimi deceduto nel 1683; a Melpignano erano presenti numerosi papadès, tra cui alcuni parenti di Nicola Maiorano, bibliotecario vaticano; a Martano vi erano ben dieci chiese greche con molti papadès, a Martignano i papades erano dieci, a Sternatia undici, a Zollino cinque (in questo piccolo centro abitato il rito greco sopravvisse fino al 1688), a Soleto i sacerdoti greci erano quattordici, a Cursi cinque, a Calimera dodici, a Castrignano dei Greci ve ne èrano nove.
E’ interessante notare a proposito di Castrignano che anche quando l’ultimo papàs morì, i suoi successori che furono tutti di rito latino amministrarono l’eucaristica secondo il rito cattolico, ma usarono la lingua greca con apposita dispensa arcivescovile.
Mentre in quella parte della Calabria ellenofona (dopo un periodo di decadenza) nel 1565 fu ripristinato il rito religioso greco con l’Istituzione dell’Episcopio di Bova, retto dal vescovo Stavriano, nella Grecia Salentina il rito greco si estingueva intorno alla fine del XVII secolo.
Alcuni segni di riappacificazione tra la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Greco-Ortodossa (che lo scisma d’Oriente ha diviso per secoli) si sono avuti negli ultimi tempi con l’incontro tra Papa Paolo VI e Atenagora I Patriarca di Costantinopoli, e dall’opera apostolica dell’attuale pontefice romano SS. Giovanni Paolo Il, che speriamo sia il preludio di una riconciliazione definitiva.

 
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